Venezia 80. Ferrari di Michael Mann

Il film sull’imprenditore modenese Enzo Ferrari dal 14 dicembre al cinema
Michael Man – regista, sceneggiatore, produttore tra i più innovativi e influenti del cinema americano (Strade violente con James Caan) – si è basato per il suo film sul romanzo biografico di Brock Yates: Ferrari, l’uomo, l’auto, il mito, sceneggiatura di Troy Kennedy Martin. A differenza del film del 2017 di Daryl Goodrich, Ferrari: un mito immortale con documentari d’epoca, Michael Mann sceglie di ricostruire la vita e le corse di Enzo Ferrari in un anno ben preciso.

L’anno terribile 1957 per Enzo Ferrari – nato a Modena, cresciuto a Maranello e rifiutato dalla Fiat – è segnato: dalla morte (un anno prima) di suo figlio Dino, sulla cui tombra si reca ogni giorno; da una serie di tragedie in pista; dal dissesto finanziario della sua azienda e dal rapporto in crisi con la moglie.
Da tempo la sua compagna è un’altra donna con cui il Drake ha avuto anche un figlio, che però fatica a riconoscere. In questo scenario incombe la Mille Miglia, la corsa che potrebbe salvare la Ferrari dal fallimento.

Nel film di Michael Mann la tensione è palpabile sia nei movimenti che nelle espressioni. Il regista ha una predilezione per le biografie di uomini importanti, forti, complessi, che superano le sfide (l’Ultimo dei Mohicani, Insider, Muhammad Alì). Sceglie una data precisa, l’anno 1957 in cui la vita privata e professionale dell’imprenditore-pilota sono giunte a una svolta.

La Ferrari va male, lui è quasi sul lastrico, le gare sono costellate da macchine distrutte e dalle morti dei suoi piloti. La relazione con la moglie Laura (Penélope Cruz) è piena di risentimento ma i due sono soci. Anche la relazione (forse non l’unica), di cui sembra a conoscenza tutta la città, con la sua compagna, Lina Lardi (Shailene Woodley) è tesa per le richieste di lei di dare il nome al figlio nato dal loro rapporto, Piero.

La scelta di attori stranieri per interpretare dei protagonisti di una storia italiana a molti non è andata giù. Lo stesso Adam Driver, nei panni del fondatore della casa automobilistica, nonostante nasconda bene le sue emozioni dietro un volto quasi immutabile, calzando la determinazione e l’impassibilità di un manager non ha convinto tutti. Probabilmente gli affezionati del Cavallino che ben conoscono il suo fondatore e la sua storia.

I manager di Ferrari lo consigliano di trovare un socio importante per evitare la bancarotta, magari Agnelli. Maserati, il suo avversario, lo beffeggia. Ma lui non vuole essere controllato. L’Italia sta cambiando e si illude nel boom economico. Sta arrivando la tv, che influenzerà anche lo sport. Il pubblico cerca i suoi idoli e star. Gli autografi dei piloti fidanzati con le attrici famose, come Alfonso de Portago con Linda Christian, attirano più dei motori del “cavallino”.

Con il culto della velocità, perfezionista, un po’ cinico e dal comportamento patriarcale. Un uomo inflessibile con una corazza per non soffrire per la morte in gara dei suoi pupilli. Il rombo dei motori carica lo spettatore mentre gli uomini della scuderia condividono benzina, sudore, calcolo, adrenalina e gli imprevisti che diventano tragedie.

La Mille Miglia, che avrebbe dovuto risolvere i suoi problemi, si trasforma in una strage. Al bolide rosso, guidato da de Portago, si squarcia una ruota. La macchina vola e cade su nove persone del pubblico al bordo della strada uccidendole. La vittoria, di un altro pilota, della Ferrari è lutto e lacrime e sangue e Ferrrari viene indagato.

Quello su cui Mann si sofferma è l’ossessione, la sfida continua in pista e negli affetti. Prediligeva il lavoro e dava, pretendendo, il massimo nelle corse mirabilmente girate dal regista. “La Jaguar corre per vendere automobili. Io vendo per correre“. Un opera lirica, un melodramma, con la figura tragica della moglie e con il “canto” dei motori. Nei titoli di coda di Ferrari c’è la dedica a Sydney Pollack, che doveva essere uno dei produttori del lungometraggio, che oscilla continuamente tra amore e morte.

Il regista, che stava pensando a questo film da oltre venti anni, non ha scelto i successi o la celebrazione dell’eroe ma ha portato sullo schermo l’anno forse più difficile del Drake, che doveva affrontare i continui attacchi della stampa, qualcuno lo aveva soprannominato il “creatore di vedove”. Il regista ha ricostruito, con precisione maniacale, gli incidenti più tragici.
Ferrari è stato girato con una speciale fotocamera Sony e prototipi in grado di posizionare il sensore della fotocamera, staccandolo da questa, in spazi molto piccoli.

Il direttore della fotografia Erik Messerschmidt ha raccontato come, per la scena filmata con più telecamere della tragedia di Guidizzolo, questi sensori sono stati posizionati su tutta la macchina e il team degli effetti speciali ha allestito un’auto a guida automatica che, a forte velocità, ha rimbalzato saltando in aria. Il bolide della Ferrari si schiantò (in un tratto in cui le auto raggiungevano i 250 km/h), a causa dello scoppio di un pneumatico, causando la morte di Alfonso de Portago, del suo secondo pilota, e di nove spettatori (tra cui cinque bambini).
La sfida del regista è stata quella di mettere il pubblico al posto dei conducenti, facendo andare le auto alla stessa velocità dell’epoca, riuscendo a far correre qualche brivido lungo la schiena, e a far rivivere un anno drammatico del fondatore della casa di Maranello non rappresentandolo come un mito ma come un anti-eroe, emblema del capitalismo italiano dell’epoca.